Digiuno intermittente e diete “mima-digiuno”: cosa sono?

Cosa comporta il digiuno prolungato e come può essere sfruttato nella perdita di peso

DEFINIZIONE E SIGNIFICATO DEL DIGIUNO

Con il termine ‘digiuno’ si indica la totale assenza di assunzione di cibo (ma non di acqua) per un periodo di tempo definito. È importante sottolineare la totalità di questa pratica in quanto assunzioni anche minime di qualsiasi alimento (anche notevolmente al di sotto delle quantità giornaliere raccomandate di assunzione) ne interrompono immediatamente gli adattamenti. Tali adattamenti, che costituiscono la “fase post-assorbitiva”, iniziano la mattina seguente alla prima notte di digiuno: l’organismo passa da un metabolismo fondato su fonti esogene (provenienti cioè dall’esterno) a sorgenti energetiche endogene, prelevate dai propri tessuti di riserva. In questa fase le fonti utilizzate sono prevalentemente il glicogeno epatico, il piruvato, il lattato e successivamente gli acidi grassi. È solo dopo le prime 48-72 ore di digiuno prolungato che il metabolismo entra nella cosiddetta “fase acuta”, che perdura per un periodo che va dai 18 ai 40 giorni. Si rende a questo punto necessario utilizzare la gluconeogenesi, un adattamento metabolico che permette di ricavare glucosio da fonti diverse dagli zuccheri (grassi, proteine) ed ottenere così energia: nell’uomo, i primi substrati ad essere utilizzati per sintetizzare glucosio sono gli aminoacidi derivati dalla demolizione delle proteine muscolari. Tuttavia, essi vengono notevolmente ridotti nel loro utilizzo se è presente una quantità rilevante di glicerolo, ottenuto dalla demolizione del tessuto adiposo. L’aumento dell’utilizzo degli acidi grassi a scopo energetico porta alla produzione di corpi chetonici (se ti interessano la chetosi e la dieta chetogenica, leggi l’articolo dedicato), con un conseguente risparmio della massa muscolare. La condizione di chetosi può essere mantenuta per diverse settimane, oltre le quali il periodo di digiuno prolungato arriva alla terza e ultima fase, che si verifica a circa 45-60 giorni dall’inizio del digiuno. A questo punto le proteine muscolari vengono rapidamente degradate, con l’instaurarsi di una condizione che non può essere protratta a lungo e diventa incompatibile con la vita.

PROTOCOLLI DI DIGIUNO INTERMITTENTE

L’ intermittent fasting (IF) è un regime alimentare che si propone di sfruttare gli adattamenti dell’organismo al digiuno per favorire la perdita di massa grassa e di peso. Il protocollo più usato è quello del time restricted feeding (TRF), secondo il quale non si assumono calorie per un periodo di durata variabile e si concentra l’intero fabbisogno energetico della giornata in una cosiddetta “finestra oraria”: lo schema 12-12 è il più comune e alterna 12 ore di digiuno assoluto, in cui è consentito assumere esclusivamente acqua e/o bevande senza calorie come the, tisane, infusi e caffè (non zuccherati né corretti) a 12 ore di normale alimentazione, in cui si intrudono liberamente le calorie previste. È il più comune in quanto la maggior parte delle ore di digiuno vengono fatte coincidere con le ore di riposo notturno, facilitandone l’applicazione. Protocolli più rigidi sono il 16:8, che prevede solamente 8 ore di “finestra oraria” di alimentazione e 16 ore di digiuno, oppure il 20:4, in cui le ore disponibili per assumere calorie sono solo 4, a fronte di 20 ore di digiuno. Sono protocolli che devono essere prescritti da un medico o da un nutrizionista, e assolutamente non improvvisati in autonomia senza il parere di uno specialista dell’alimentazione.

La restrizione calorica intermittente (ICR) prevede giorni di digiuno totale alternati a giorni di semi-digiuno e di alimentazione “libera”, nei quali non è presente alcuna restrizione. Difficilmente tuttavia si prevedono in questi programmi delle giornate di digiuno completo, e piuttosto si preferisce una restrizione calorica importante (ad esempio 600-800 kcal al giorno). Il vantaggio derivante da questa strategia alimentare è che, nel quantitativo settimanale di calorie, si instaura di fatto un deficit calorico rilevante, senza ricorrere a restrizioni giornaliere costanti: ipotizzando un fabbisogno alimentare di 2000 kcal, infatti, in una settimana verrebbero introdotte 14000 kcal. Alternando nella settimana, per esempio, 3 giorni di semi digiuno a 800 kcal, a fine settimana si avrà un totale di 10400 calorie. Ben 3600 calorie in meno, con 4 giornate di alimentazione “libera”. Se a questo si aggiunge una programmazione mirata anche dei giorni liberi, prediligendo proteine di alta qualità, frutta e verdura, i risultati possono essere ancora più evidenti. È importante evidenziare tuttavia che ogni individuo è diverso e che lo stesso regime, indicato per un soggetto, può non essere efficace per un altro. Inoltre, una restrizione calorica maggiore o una finestra oraria di alimentazione minore non sono necessariamente correlate a risultati più immediati o duraturi.

BENEFICI

La letteratura scientifica mostra che gli effetti benefici sulla salute non sono associati tanto al digiuno in quanto tale ma piuttosto alla restrizione calorica che esso sottintende. In linea generale infatti, il deficit calorico (anche lieve) è spesso associato al miglioramento dello stato di salute. Non solo: è infatti noto anche che è la quantità, prima della qualità del cibo, ad incidere su dimagrimento. Quando i nutrienti scarseggiano, entra in gioco una sorta di “interruttore cellulare”, un enzima chiamato AMPK, che trasporta il glucosio nelle cellule aumentando nel contempo la loro sensibilità agli ormoni che contribuiscono a tale scopo. Questo avviene sempre in carenza di nutrienti, quindi non solo nel caso della restrizione caloria, ma anche al termine di un’attività sportiva intensa.

Questo articolo si trova in: Idratazione, Ormoni, Regimi Alimentari

Dott.ssa Lisa Orsomarso

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